Gazzetta dello Sport – Adriano Galliani “Bisogna tornare a giocare, per regolarità sportiva e perché altrimenti il calcio esplode”
L’edizione odierna della Gazzetta dello Sport riporta un’intervista ad Adriano Galliani. Il senatore, storico amministratore del Milan, oggi gestisce il Monza ma continua a guardare al calcio nella sua totalità
Ecco quanto ha detto il Senatore Adriano Galliani alla Gazzetta dello Sport. “Come si esce da questa crisi del pallone? Come si farà per l’economia. Servirà uno sforzo collettivo, dalla Fifa alla Uefa, alle Federazioni nazionali. Senza un accordo globale non se ne esce. I litigi non servono. Si giocherà quando il Governo, ascoltando la Comunità Scientifica, stabilirà che è possibile. Ma ha ragione il presidente della Uefa Ceferin, tutti i campionati devono concludersi”.
“Lancio una proposta: il tempo c’è, si faccia per due anni come in Sudamerica, campionati nell’anno solare. Il campionato 2020-21 cominci nel febbraio 2021, stessa cosa per il 2022. Poi magari si tornerà all’antico, ma io sono certo che dopo un paio d’anni ci convinceremo che è una buona soluzione. In estate, a luglio o agosto, giocando di sera, sarà bello vedere il calcio, più che in altri mesi. Penso a certe serate di coppa Italia in gennaio, soprattutto al nord. Credo che alla fine potremmo avere più pubblico. La Fifa ha già spostato le date del Mondiale 2022 a fine anno, si faccia lo stesso con l’Europeo e la coppa America nel 2021. Sarebbe comodo, ma si può anche lasciare Euro 2021 lì dov’è, in estate, interrompendo i campionati. Ma bisogna tornare a giocare, per regolarità sportiva e perché altrimenti il calcio esplode”.
Però in Lega non c’è accordo sulle date.
“Non si può non tornare a giocare, ma bisogna farlo in condizioni di sicurezza. Non capisco questa insistenza per andare in campo presto e ricominciare a settembre, quando magari ci sarà ancora la pandemia, qui o altrove. In questo momento non si può sapere. Il governo, sentendo la comunità scientifica, detterà i tempi, e i campionati possono finire ovunque in momenti diversi. La Germania magari comincerà prima, l’Italia è avanti rispetto all’Inghilterra con il picco del virus. Non dobbiamo finire tutti allo stesso momento. I campionati devono concludersi sul campo perché è la legge dello sport e perché il sistema va salvato. Senza tornare a giocare, la Serie A perderebbe una cifra intorno ai 600 milioni, senza calcolare la quota che arriverebbe dai 400 milioni in ballo per le squadre in corsa nelle coppe europee. Una piccola parte andrebbe ai club italiani. Se non finisce il campionato il calcio esplode. E parlo dei massimi sistemi, ripeto. Sui campionati di B e C c’è altro da dire”.
“Per esempio che ci sono 60 squadre professionistiche in C e 20 in B che si reggono grazie ai contributi di tanti imprenditori che adesso avranno problemi con le loro aziende. Non è che non amino più il calcio, adesso però ragionevolmente non potranno più investire. Sono mecenati, il problema del nostro calcio è che si reggeva sul mecenatismo. Ora non so quanti potranno andare avanti. Il calcio deve trovare la quadratura del cerchio in se stesso, lo Stato non potrà supportarlo più di quanto faccia con le altre aziende. È giusto che il calcio dilettantistico riceva degli aiuti, perché ha una funzione sociale. Si aiutano giustamente il teatro, il cinema, altre forme di cultura. Il mondo dilettantistico muove un milione di ragazzi. Poi però bisognerà domandarsi se è sostenibile un panorama con 80 società fra B e C”.
Il sindacato dei calciatori e i presidenti delle società sono al tavolo delle trattative per il taglio degli stipendi
“Non si possono stabilire percentuali valide per tutti, la maggior parte dei giocatori di C guadagna 26mila euro lordi, il più pagato della A duemila volte tanto. Quindi, bisogna ragionare su cifre diverse. Un club non può tagliare più di quello che ha perso, ma neanche di meno. Se ho perso il tre per cento ti tolgo il tre per cento, se ho perso il 14 ti tolgo il 14, se non ho perso non ti tolgo niente: i giocatori devono capirlo. Sto parlando del calcio di vertice, ripeto: tornando in campo i club non perderebbero moltissimo. Il botteghino vale il dieci per cento dei ricavi. Tornando a giocare le società manterrebbero le entrate dagli sponsor e dalle tv. Ma non capisco questa fretta di rientrare in campo per ripartire a settembre. Ci stiamo confrontando con una pandemia. Finché non ci sarà un vaccino, non credo si potrà giocare davanti a un pubblico. Ma si potrà andare avanti anche fino all’autunno a porte chiuse, e poi magari in febbraio ricominciare coni tifosi, perché un vaccino ci sarà. Speriamo”.
E’ triste giocare a porte chiuse, però è meglio di non giocare affatto, e magari scomparire
Da questa crisi uscirà un sistema calcio più solidale? “Non è questione di solidarietà, ma di realismo. Sarà un calcio un po’ più povero, perché il mondo lo sarà. Ci sarà un ridimensionamento temporaneo, come per tutte le altre attività. L’Europa e il mondo sono in difficoltà, il calcio non può pensare di continuare come prima”.
A proposito di mondo, le proprietà straniere secondo lei aiutano la Serie A? «È come per le altre aziende: ben vengano i capitali investiti nel nostro Paese. È libero mercato, non si può impedire. Magari ci sarà un po’ di romanticismo in meno, ma la ricchezza dall’Europa si è spostata in America e poi in Oriente, andate a guardarvi i passaggi di proprietà dei top club europei: non passano mai a un signore dello stesso Paese. Bisogna farsene una ragione”.
Come giudica la situazione del Milan? «Resto un grande tifoso, felice se il club vince, triste se perde. Non ho consigli da dare e non sarebbe elegante farlo. Per riempire il tempo in questi giorni mi rivedo in tv le finali europee del Milan, ma anche le partite dell’Italia e il grande tennis. Adoro Djokovic, ho a casa la sua maglia incorniciata con dedica. Un grande tifoso del Milan, anche lui».