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Quel “gap” di energie e galanteria: Spalletti batte Allegri due volte

Serie A

– STEFANO SICA –

 

Il pensiero va subito a quel 1 settembre del 1990. L’ultima serata di gloria che congedava gli azzurri da un triennio vincente proiettandoli in un labirinto interminabile fatto di salite e discese, di delusioni piĆ¹ che di gioie, di dolori, fallimenti ed effimeri granelli di felicitĆ . Il 5-1 rifilato venerdƬ sera a Madama riannoda in un certo senso il filo rosso con quegli anni di strapotere, proprio in una stagione in cui nulla ĆØ proibito e non esistono argini alla voracitĆ  di questo Napoli. Osimhen come Careca e Silenzi, Kvara – ci si perdoni il paragone – come il magnifico D10S. Con la differenza che la posta in palio stavolta ĆØ piĆ¹ alta, puĆ² valere quel bene innominabile (nel 1987 scaramanticamente era vietato pronunciarne il nome) atteso guarda caso da 33 anni. C’ĆØ anche un altro aspetto che segna una discontinuitĆ  tra i due match. All’epoca quella Juve venne al San Paolo a giocarsela a viso aperto, gerarchicamente teleguidata da Maifredi e dai suoi dettami di spavalderia e spregiudicatezza. Difesa alta ed uno contro uno. Vedere quel Napoli tagliarne la retroguardiaĀ come una lama nel burro fu divertente malgrado, per certi aspetti, poco sorprendente. Stavolta i bianconeri sono diversi. Sono quelli che non prendono gol da oltre 800 minuti, che si allineano a cinque davanti aĀ Szczesny e non cedono alcuna sovranitĆ  a tentazioni bellicose. Allegri non ĆØ Maifredi perchĆ© ha abdicato a quelle idee che, da buon delfino di Galeone, proponeva a Grosseto o a Milano. PerĆ² ĆØ cosƬ che in passato ha vinto in bianconero e, nelle ultime settimane, ha proposto una remuntada in grado di radere al suolo un bel po’ di corsie privilegiate ai piani alti. E allora, perchĆ© cambiare? Quindi spazio nuovamente al 3-5-2 a costo di adattare Chiesa quinto a destra, o Alex Sandro braccetto sinistro. Apparenti controsensi, tuttavia rispondenti ad una logica tattica tutta personale. Davanti, con Di Maria, c’ĆØ l’ex al veleno Milik, fischiatissimo al momento della lettura delle formazioni.

Nei primi 10 minuti questa opzione sembra persino incoraggiare le strategie bianconere. La Juve pressa molto alta, le scalate sono buone e non danno tregua ai portatori di palla del Napoli. Poi il guizzo che indirizzerĆ  il match, rivoluzionando i piani di Allegri. In questa circostanza sono fatali gli errori di Kostic – che sceglie di uscire su Di Lorenzo lasciando scoperto lo spazio riservato all’inserimento di Politano –Ā e di Alex Sandro, che giocoforza arriva a coprire in ritardo sull’esterno romano, il cui destro per KvaratskheliaĀ ĆØ una ciambella da indirizzare a rete.Ā SzczesnyĀ ĆØ prodigioso, ma il tap-in di OsimhenĀ lo ĆØ di piĆ¹. Il paradosso ĆØ che, anche dopo lo svantaggio, la Juve cavalca la linea del laissez faire, consegnando al Napoli possesso e iniziativa. Forse un contraccolpo psicologico, o probabilmente la scelta di aspettare un agognatoĀ calo avversario per poter colpire.Ā O chissĆ , un errore che nel tritacarne di ritmi sempre frenetici, ci puĆ²Ā stare. E infatti ĆØ Rrahmani a distrarsi un attimo ed a regalare un pallone sanguinoso a Di Maria, che pare avere sempre un conto aperto col Napoli. Stavolta, a differenza di quanto accaduto al Parco dei Principi oltre quattro anni fa, il suo sinistro ĆØ piĆ¹ mieloso e scheggia solo la traversa. Quelle della Juve sono comunque piccole punzecchiature che fanno affidamento sul moto spontaneo dei singoli piuttosto che sulla manovra corale. Qualche sofferenza puĆ² arrivare soltanto su palle inattive o palombelle ben riuscite, come quelle che consentono a Milik e Bremer di staccare senza perĆ² trovare potenza eĀ precisione. Se RabiotĀ si svena da mezz’ala sinistra cantando e portando la croce, e Di Maria ĆØ la solita garanzia di qualitĆ  e imprevedibilitĆ , Chiesa ĆØ un autentico fantasma. Vederlo costretto a coprire una fascia intera senza poter sprigionare la sua classe in fase offensiva – perlopiĆ¹ dovendo fare a pugni conĀ KvaratskheliaĀ –Ā ĆØ un puro nonsense. Ma ĆØ nelle retrovie che la Vecchia Signora si condanna alla flagellazione azzurra. E come potrebbe essere altrimenti se KvaratskheliaĀ e Politano sembrano tornatiĀ ai loroĀ livelli usuali favorendo anche l’astuzia senza freni di Osimhen? E’ il passo ad essere diverso, la freschezza, l’esuberanza. Un po’ lo ammetterĆ  anche Allegri a fine gara, quando la sua riflessione si concentrerĆ  sul “gap di energie” tra le due contendenti. Del resto, quando il fisico balla, la mente si offusca. Se il Napoli affonda sulle fasce con quattro esterni tirati a lucido, serve la giusta virilitĆ  in fase di contenimento. Ma, soprattutto a sinistra, i bianconeri soffrono in maniera indicibile e non trovano neanche in Bremer il migliore alleato. Quello che ha potuto sbagliare mister 40 milioni, lo ha fatto senza pietĆ . Si parte con la svista su Osimhen, che regala a Kvara la palla del raddoppio. Il resto ĆØ tutto da raccontare. Anche Kim si lascia fagocitare da unĀ piccolo peccato di reattivitĆ  – certamente meno grave di quello commesso da Rrahmani –Ā quando naufraga nel palleggio tra Milik e Di Maria, con quest’ultimo che riapre la sfida. Il fatto che ciĆ² accada poco prima dell’intervallo lascia immaginare una ripresa di affanniĀ perchĆ©, in fin dei conti, quello tra Napoli e Juve ĆØ un eterno incontro di boxe che viaggia tra pesi massimi e round illimitati.

Eppure non andrĆ  cosƬ, per quanto OsimhenĀ voglia elargire ai bianconeri ancora qualche bonus per restare in partita. Ma Alex Sandro e Bremer sono in vacanza e confezionano una serie di disastri a catena. IlĀ primo si fa bruciare sullo scattoĀ dal nigeriano, che trova il muro diĀ Szczesny generando il corner che innesta la girata vincente di Rrahmani. Il secondo, dietro la pressione diĀ Ā Kvaratskhelia, regala palla al 9 azzurroĀ che spedisce alle stelle a colpo sicuro. Insomma, il piĆ¹ lucido del pacchetto difensivo ĆØ proprio Danilo, che si vede poco ma ha almeno il merito di non avventurarsi in spedizioni masochistiche. E’ lento e stonato il Samba di Bremer, che ne fa un’altra delle sue quando si traveste da assist-man di Kvara, il cui cucchiaio serve un boccone prelibato ad Osimhen. La doppietta dell’attaccante ne premia lo spirito di sacrificio e il solito fiuto del predatore. Messa cosƬ, il poker azzurro sembrerebbe la logica conseguenza di una JuveĀ rimasta ugualeĀ a se stessa, ma in realtĆ  Allegri qualche modifica l’aveva apportata giĆ  verso la fine del primo tempo avanzando finalmente Chiesa sulla linea degli attaccanti e spostandolo a sinistra in una sorta di quadrifoglio conĀ MckennieĀ a destra. Il tutto senza risultati apprezzabili. E lo stesso Chiesa, per quando si liberi dalle prigioni impostegli e tenti di tenere accesa la fiammella, trova inĀ ElmasĀ – entrato dopo l’intervallo per un acciacco occorso a Politano – un guerriero che non disdegna di lavorare su entrambe le fasi. E un recupero del macedone sull’attaccante bianconero anticipa la sgroppata che mortifica ancora una volta Alex SandroĀ e si conclude con un sinistro micidiale.

Manca piĆ¹ di un quarto d’ora ma ĆØ da questo momento che il Napoli rende piĆ¹ gustosa la mattanza bianconera. PerchĆ© decide visibilmente di fermarsi, di assecondare gli olĆØĀ compliciĀ del pubblico, di inebriarsi nello spettacolo di luci del Maradona,Ā di non infierire eĀ di non accanirsi sulla meglio gioventĆ¹ (i 2003 Iling, SoulĆ© e Miretti) che Allegri getta nella mischia a frittataĀ ormai cotta. E’ troppo anche per il tecnico livornese, che a fine gara perde il duello della galanteria e tenta di eludere il saluto di Spalletti – che lo raggiunge da centometrista consumato – infrangendo decenni di consuetudini consolidate tra allenatori. Le figuracce in effetti sono come le patatine, una tira l’altra. Un dettaglio in una serata fantastica dipinta da volti sognanti e mani aperte. Anzi, manite.

FOTO SSC NAPOLI