Udine, la lunga notte di Italia-Israele tra lacrimogeni e gol, il calcio nel cuore del conflitto
Gli Azzurri vincono 3-0 e staccano il pass per i playoff del Mondiale 2026. Ma fuori dal Bluenergy Stadium la tensione esplode: scontri, feriti e una città ferita.
Udine si sveglia blindata, attraversata da elicotteri, sirene e un silenzio che sa di attesa. È il giorno di Italia-Israele, partita di qualificazione ai Mondiali 2026, ma anche molto di più. È la notte che nessuno voleva, quella che nessuno dimenticherà.
Dalle prime ore del mattino, i controlli si moltiplicano all’uscita dell’autostrada, i mezzi sospetti vengono perquisiti, le strade verso il Bluenergy Stadium diventano un labirinto di barriere, idranti e posti di blocco. Viale Ledra, dove alloggia la nazionale israeliana, è zona rossa. Dal cielo, un elicottero scandaglia ogni movimento: sopra il tetto del “Friuli”, i cecchini prendono posizione.
Intorno allo stadio, steward e agenti arrivati da mezza Italia formano il primo anello di sicurezza. All’interno, il calcio tenta di mantenere la sua promessa di normalità: fischio d’inizio alle 20.45. Ma fuori, nel cuore della città, la tensione cresce.
Udine sotto assedio
Alle 17.30 parte da piazza della Repubblica il corteo pro Palestina. Diecimila persone, bandiere, striscioni, slogan contro la “complicità” dell’Italia e della Fifa. “Show Israel the red card!” è il motto che unisce associazioni, sindacati e movimenti da tutta Italia.
Per ore la manifestazione resta pacifica. Poi, al tramonto, la miccia: un gruppo di facinorosi tenta di sfondare il cordone di sicurezza in piazza Primo Maggio. Volano bottiglie, pietre, la polizia risponde con idranti e lacrimogeni. Tre feriti — tra cui due giornalisti, uno con un trauma allo zigomo — e una ventina di fermi. Udine si scopre improvvisamente teatro di un conflitto che, pur lontano, sembra esplodere tra le sue vie.
“Il corteo era pacifico, ma pochi delinquenti hanno rovinato tutto”, dirà più tardi il sindaco Alberto Felice De Toni. “Condanniamo la violenza, Udine ripudia queste scene. La città intera è accanto a chi ne è stato colpito.”
Dentro lo stadio, l’altra battaglia
Dentro, il Bluenergy Stadium è mezzo vuoto: 9.200 spettatori, cinquanta arrivati da Israele. I fischi si mischiano agli applausi quando risuona l’inno israeliano. Poi, il calcio prova a riprendersi il suo spazio.
L’Italia parte contratta, soffre le accelerazioni di Gloukh e Solomon, e Donnarumma deve superarsi due volte per evitare il peggio. Solo nel finale del primo tempo gli Azzurri trovano l’episodio che cambia tutto: rigore conquistato da Esposito e trasformato con freddezza da Retegui. È il suo undicesimo gol in ventiquattro partite azzurre, ma pesa come una liberazione.
Nella ripresa la squadra di Gattuso cresce, spinta dalla grinta del tecnico e dal rumore di una curva che ritrova voce. Retegui firma la doppietta con un destro all’incrocio, Mancini chiude nel recupero: 3-0, e pass matematico ai playoff di marzo.
“Un mese fa ci avevano fatto ballare, dice Gattuso, oggi abbiamo risposto con orgoglio. Ma dobbiamo restare compatti, umili, e sperare che Dio ce la mandi buona.”
Le immagini si rincorrono: dentro lo stadio gli abbracci, fuori le sirene. Mentre gli Azzurri celebrano sotto la curva, in centro Udine la polizia disperde gli ultimi gruppi rimasti in strada. Le due Italie, quella che esulta per un gol e quella che protesta contro una guerra si sfiorano senza incontrarsi mai.
Eppure, la domanda resta sospesa: era giusto giocare? Da settimane associazioni e movimenti chiedevano la sospensione delle gare contro Israele, denunciando la “normalizzazione del genocidio”. Ma da Fifa e Uefa è arrivato solo silenzio, o peggio, cinismo.
“Il calcio non può risolvere problemi geopolitici”, aveva detto Gianni Infantino. Una frase che suona come una resa, soprattutto di fronte alle immagini che arrivano da Gaza: 250 giornalisti uccisi, migliaia di vittime civili, una tragedia che sembra non avere confini.
Sul piano sportivo, l’Italia torna a respirare: con il 3-0 di Udine, la squadra di Gattuso è aritmeticamente seconda nel girone e si assicura i playoff di marzo. C’è ancora una minima speranza di agganciare la Norvegia, ma serviranno due vittorie e un passo falso di Haaland e compagni.
Sedici gol in quattro partite, il miglior dato della gestione Gattuso. La mano del tecnico si vede: intensità, carattere, e un gruppo che sembra ritrovare identità. Ma restano anche limiti evidenti: ritmo basso, manovra lenta, qualche distrazione di troppo in difesa. Contro avversari più forti servirà molto di più.
A fine partita, la USSI – Unione Stampa Sportiva Italiana, espone in tribuna un fiocco nero: in memoria dei giornalisti uccisi a Gaza, in nome della libertà di informazione. È un gesto piccolo ma carico di senso, nel mezzo di una serata dove lo sport e la cronaca si sono intrecciati fino a confondersi.
Udine si risveglierà domani tra le macerie di una notte lunga, fatta di paura, rabbia e palloni che rotolano. Gli Azzurri vanno ai playoff, ma resta la sensazione che il calcio, ancora una volta, abbia dovuto giocare una partita più grande di lui.
Perché sì, come diceva Sacchi, “il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti”. Ma quando il mondo brucia, anche un gol può diventare un atto politico.

