ESCLUSIVA – Fabrizio Failla: “La tessera del tifoso è stata un flop assoluto, all’estero non ci sono nemmeno i biglietti nominativi.”
Nella recente puntata di Stop Tifo Negato, trasmissione organizzata da Casa Napoli in collaborazione con Milano Azzurra, il giornalista Rai Fabrizio Failla ha offerto un’analisi lucida e profonda sul tema delle trasferte vietate ai tifosi del Napoli, con particolare riferimento al nuovo stop per la gara Torino-Napoli del 18 ottobre.
Durante il suo intervento, Failla ha toccato nodi fondamentali come la gestione dell’ordine pubblico, il confronto con i modelli europei, l’inefficacia delle restrizioni generalizzate e il fallimento della tessera del tifoso. Ecco, di seguito, le sue parole testuali riorganizzate per argomenti.
La sicurezza negli stadi? “Il problema è istituzionale”
«Il problema del controllo della tifoseria è un problema che abbiamo in Italia. È giusto allargare il discorso da Napoli in generale a quella che è la problematica della sicurezza negli stadi. È troppo facile fare divieti per assistere alle partite, per tifosi che non credo vadano fuori a fare a botte.»
Failla denuncia la scorciatoia istituzionale di scaricare tutto sul tifo organizzato:
«Purtroppo l’Italia non ha la certezza della pena. Quindi bypassare questi problemi, che sono istituzionali, per andare a reprimere il tifo, secondo me è come avveniva negli anni ’80, quando i prefetti ordinavano il divieto di vendita per una zona che era interessata alla gara ad alto rischio. Lavandosi un po’ le mani.»
Il confronto con l’Inghilterra e la Germania
«Abbiamo degli esempi importanti dall’Inghilterra. Dopo i fatti dell’Heysel, la Thatcher fermò il calcio inglese in Europa per due anni. Sicurezza e certezza della pena: questo permette oggi agli inglesi di poter vantare uno standard che è un fiore all’occhiello.»
Ma il paragone più virtuoso, secondo Failla, resta quello con la Germania:
«In Germania hanno saputo coniugare entrambe le forze, mettendo le forze di polizia all’esterno dello stadio, mentre l’interno è presidiato dagli steward dei club. E c’è anche un ruolo italiano, quello di Nino Rana che è il capo della sicurezza interna allo stadio.»
La violenza non è più quella degli anni ’70: “I problemi non sono dentro”
«Grandi incidenti non sono più negli stadi, ma nel grande pubblico. A volte vengono causati da teppisti, non da tifosi. I tifosi che vanno allo stadio ormai si trovano in impianti senza più recinzioni. Questo dimostra che la violenza è cambiata: non è più quella degli anni ’70.»
«Oggi la violenza è fuori. Ci sono scontri agli autogrill, nelle piazze delle città dove si gioca una partita.»
“Due pesi e due misure”: cori razzisti e mancanza di sanzioni
Failla denuncia un doppio standard nella gestione delle sanzioni:
«Quando ci sono dei cori razzisti, invece di essere contro i tifosi, vengono dai tifosi verso i giocatori di colore. Non ho mai visto una gara essere conclusa con la sconfitta a tavolino per la squadra i cui tifosi hanno insultato.»
La tessera del tifoso: “Un fallimento assoluto”
Sul tema centrale della tessera del tifoso, Failla è netto:
«La tessera del tifoso è stata un flop assoluto. All’estero non ci sono nemmeno i biglietti nominativi. Qui invece c’è il bisogno di identificare tutto, si deve avere paura dell’agente, si deve avere paura della persona. Questa è repressione.»
«Il tifoso viene visto come un soggetto da controllare, mentre io ritengo che la parte sana della tifoseria sia decisamente più portata a tifare e non a fare a botte.»
“Lo Stato ha fallito, ma punisce chi va allo stadio”
«Ritengo che il tifoso sia molto più sano di quanto le istituzioni vogliano far credere. La parte sana della gente viene penalizzata per coprire l’incapacità dello Stato di gestire un evento sportivo.»
«Chi compie un reato all’interno dello stadio, spesso viene lasciato andare via. Invece, se fai una pernacchia a un ufficiale per strada, finisci sotto processo. È paradossale.»
“Bisogna tornare a parlare con i tifosi, non reprimerli”
Failla ha concluso il suo intervento con un appello alla responsabilità:
«Servono stadi di proprietà, strutture organizzate, e soprattutto serve rispetto per i tifosi. Basta con questa cultura della paura e del sospetto. Portare le famiglie allo stadio è possibile solo se si crea un ambiente sano, non se si chiudono le porte a chi vuole solo sostenere la propria squadra.»

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