fbpx

Napolitudine: La Vigilia di Natale e la pizza fritta

La pizza fritta e la Vigilia di Natale: tavola e tradizioni.

La storia ci racconta di come la pizza fritta sia diventata un piatto rappresentativo del Natale a Napoli. Digiuno e astinenza sono pratiche antiche intorno alle quali le tradizioni religiose napoletane si sono radicate. In una città intrisa di religiosità naturale come quella partenopea, dove la devozione ai santi ha sempre scandito le stagioni, l’osservanza dei divieti è sempre stata  innata.

Per la Chiesa Cattolica, la Vigilia di Natale è un giorno di magro, ovvero un giorno in cui bisognerebbe mangiare cibo “povero” o, addirittura, astenersi completamente dal cibo in segno di rispetto e devozione. Roberto De Simone ne Il Presepe Popolare Napoletano, ci racconta che secondo arcaiche credenze la carne del pesce non sarebbe soggetta a essere veicolo di spiriti maligni. Come al contrario si verifica nelle carni rosse (in parte anche quelle bianche) a causa della cospicua presenza di sangue.

In tale periodo, infatti, il consumo di carmi è ammesso purché siano bollite. La tradizionale minestra maritata ad esempio, aveva anche la funzione rituale e culturale di terminare tutte le riserve di cibo in vista del rinnovamento del nuovo anno.

Dal precetto alla prescrizione di “mangiare carne” il passo è stato breve, anche perché la carne era considerata un lusso. Un alimento destinato ai ricchi o al consumo nei giorni speciali. A differenza del pesce meno costoso e più alla portata di tutti.

Da un popolo religioso ma soprattutto pratico come quello napoletano è arrivata la soluzione. E tra le tradizioni del Natale, non si sa bene come e quando, si è inserita e affermata quella di mangiare la pizza fritta il pranzo della Vigilia. Quel momento in cui ci si affanna per trovare gli ultimi regali o sbrigare gli ultimi acquisti, allora è il momento giusto per fermarsi un attimo e assaporare il soffice impasto fritto.

” ‘A ogge a otto”, la mangi oggi e la paghi tra otto giorni. Non si può dire di conoscere Napoli se non si è mai addentata una pizza fritta bollente.

Se dici pizza pensi a Napoli, ma questa volta non si parla della classica Margherita. I veri cultori sanno quanta poesia c’è nella ricotta bollente di una pizza fritta. Un impasto intriso d’olio e ricordi, che riportano direttamente alla povertà del dopoguerra. E soprattutto all’arte di arrangiarsi: inventare il mestiere di venditori di sapore friggendo acqua e farina, ma soprattutto di benefattore nutrendo il popolo e facendolo pagare dopo otto giorni. Di solito la pizza fritta veniva preparata direttamente in casa dai pizzaioli nel loro giorno di riposo, per arrotondare le entrate domestiche. Magari poi veniva fritta e venduta dalle signore proprio fuori l’uscio di casa. Le famiglie dei pizzaioli abitavano di solito nei “bassi”, caratteristici monolocali dal soffitto basso e dall’ingresso direttamente sulla strada.

Alla fine della seconda Guerra mondiale la pizza era quasi un lusso: mancavano gli ingredienti per condirla e i forni erano stati distrutti dai bombardamenti. Così si pensò di friggere nell’olio bollente l’impasto, che si gonfiava e dava la sensazione di maggiore sazietà. Oggi la pizza fritta si farcisce con salumi, polpette, provola o friarielli, ai tempi ci si metteva dentro tutto quello che si aveva a disposizione, soprattutto ricotta, che arrivava dalle campagne a buon mercato, e i “ciccioli”, pezzi di grasso di maiale scartati dai tagli pregiati.

Un soffice impasto dalle origini illustri

Nel Cinquecento il poeta Giovanni Battista del Tufo parlava delle zeppolelle, croccanti delizie di pasta lievitata che uscivano dalla friggitoria cosparse di miele. Il passo alla versione salata fu breve: baccalà, pesce azzurro e alici furono i primi companatici, come riporta il duca Ippolito Cavalcanti nel suo trattato Cucina teorico-pratica del 1837.

La più famosa venditrice di pizza fritta è Sophia Loren, che nel film L’oro di Napoli, diretto da Vittorio De Sica nel 1954, grida “Mangi oggi e paghi fra otto giorni”, con la scollatura ben in vista. Proprio nell’impasto di una delle pizze fritte, dice al marito, le è caduto l’anello di fidanzamento, che ha in realtà dimenticato dal giovane amante. Sullo sfondo, uno spaccato di vita quotidiana, che in certe vie di Napoli si può rivivere: il sapore della pizza fritta, nelle pizzerie specializzate, rimane quello di un tempo.

Oggi la pizza fritta si può considerare cibo da passeggio a Napoli. E la tradizione ce la porta presente sulla tavola il giorno della Vigilia di Natale. Una portata light in previsione della sera: il giusto preludio al “magro cenone” a base di pesce e verdure per prepararsi “lo stomaco” per il pranzo abbondante e a base di carne del giorno di Natale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *