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Mi sa che il Napoli soffre di Sarrismo…

Sarri

È il “Sarrismo” la malattia del Napoli: al “dott. Gattuso” il compito di trovarne la cura.

Il Napoli soffre di Sarrismo.

L’ ennesimo schiaffo, subíto a Genova, lascia più del classico amaro in bocca. Papille gustative in crisi già da un po’.

Un film già visto, situazione già vissuta: gli azzurri che attaccano e al primo errore vengono puniti. Risultato? Zero punti e tutti, inevitabilmente, sull’orlo di una crisi di nervi.

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È successo con il Sassuolo, con l’ Inter, con lo Spezia e perché no, in parte anche contro il Milan. E quel VAR, poi, che perde spesso il “segnale” ( vabbè, dettagli).

Una squadra che attacca, crea tanto (prima per tiri in porta!) ma non riesce a concretizzare (dodicesima per percentuale realizzativa!). E, se vogliamo, possiamo anche metterci le elevate percentuali di possesso palla.

Sembra il Napoli di Sarri, quello con la tuta, quello che sfidò il palazzo. Sembra però.

L’ossessione del gioco palla a terra e l’ arrivare in porta con il pallone, gli azzurri se la portano dietro, ormai, dal maggio 2018, da quando, cioè, il Comandante lasciò il capoluogo campano, con il record di 91 punti.

Quello, il punto di non ritorno.

Napoli, una malattia chiamata “Sarrismo”.

Il triennio Sarrista, pur senza lasciare trofei in bacheca, resta impresso nella testa e negli occhi di tutti.

La Rivoluzione Bolscevica “pallonara” che riuscì quasi a rovesciare l’ Impero Bianconero. Quel gol di Koulibaly al 90′, nell’aprile del 2018, a Torino, resta negli occhi, più forte del luccichio di una Coppa. Brividi, comunque, a pensarci…

La parola “Sarrismo” è, da qualche anno, inserita nel vocabolario “Treccani”, a Napoli è diventato termine di paragone. Un “prima” e “dopo” Sarri, una sorta di anno zero calcistico a tinte azzurre.

“Sindrome di Stoccolma” poi, dopo il “tradimento” dell’estate 2019 con l’ex bancario che passa ai bianconeri.

Il Napoli attuale, per forza di cose, sembra dover somigliare a quel Napoli. Ah nostalgia canaglia!

Ma quella squadra non tornerà più. Stop.

Romantico (e tenero) l’esordio di Gattuso in panchina al San Paolo il 14 dicembre del 2019: tuta e taccuino a bordo campo.

Poi il 4-3-3 (ma anche 4-2-3-1 eh) come mantra, cancellando Ancelotti e il suo “obsoleto” 4-4-2. Ricerca spasmodica della verticalizzazione. Ma, in pratica, senza grandi risultati: lentezza e prevedibilità i marchi di fabbrica…

Gattuso e la piazza, ora, abbandonino quel ricordo, si passi al concreto.

Il Milan di Ringhio sfiorò la Champions con un gioco “pane e salame”, non c’era spazio per “caviale e champagne”. Cuore e grinta.

Non c’era nessun “palazzo da far crollare”. Più praticità e meno bollicine, ecco.

La ricerca ossessiva di un qualcosa che non ci sarà più, aumenta la frustrazione, trasformando tutto in qualcosa di brutto e angosciante.

Che Ringhio trovi il vaccino a questa “malattia”!

È ora che Gattuso diventi un “virologo del pallone”, al di là di quello che farà a fine stagione. Dia la svolta, trovi un “vaccino”. Stavolta sul serio però: fuori l’orgoglio per togliersi gli “schiaffi dal viso”.

Occasione ghiotta, già domani, a Bergamo, puntando la finale di Coppa Italia, magari lasciando il fioretto negli spogliatoi, armandosi di sciabola e coltello.

E poi domenica, proprio contro la Juve, al San Paolo, nel frattempo diventato “Maradona”. In fondo, una delle  più belle gare del Napoli “Made in Calabria” (condita con vittoria) è stata proprio quella contro la Vecchia Signora, allenata, nella scorsa stagione, guarda un po’, da un certo Sarri…

È ora di chiudere il cerchio.

Maurizio Sarri e Gennaro Gattuso

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