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Walter se n’è andato e non ritorna più: l’addio mesto di Mazzarri

Lazio Napoli

Per Di Lorenzo e compagni è finita l'”era degli alibi”

Napoli. Walter se n’è andato e non ritorna più. La sua (seconda) avventura in terra partenopea è terminata come peggio non poteva in una mattinata-thriller che non avrebbe immaginato neanche la migliore Agatha Christie. Avanti un altro, direbbe Paolo Bonolis. L’”altro”, in realtà, si era già materializzato da un po’. Sì. Perché è inutile girarci intorno: il nome di Francesco Calzona aleggiava nell’aria (e sulla testa di Mazzarri) sin dalla vigilia della gara con il Genoa. E così, il presidente Aurelio De Laurentiis, per buona parte dell’ambiente pallonaro (e napoletano), da geniale creatore di successi sportivi e cinepanettoni quale era, è finito col diventare una sorta di “mangia-allenatori” che neanche il Maurizio Zamparini dei primi Anni Duemila (pace all’anima sua). Pieghe di un’annata storta.

Umanamente, in verità, dispiace alquanto per la dipartita mazzarriana. È innegabile, infatti, l’impegno profuso dal tecnico di San Vincenzo per cercare di raddrizzare le sorti di una truppa – quella azzurra – che, ad oggi, sembra completamente allo sbando. Ci ha messo del suo, l’ex allenatore di Hamsik e Lavezzi, poco da dire. Ma non è per niente facile tenere la barra dritta in un gruppo che assomiglia più ad un insieme di individualità che ad una squadra con il tricolore sul petto.

Tradotto in soldoni: per Di Lorenzo e compagni l’”era degli alibi” è giunta al termine. Finita. E pure in malo modo. Come una delle tante serie televisive coreane oggi molto in voga su Netflix. Conclusasi – piuttosto mestamente – con l’addio di Mazzarri a telecamere “aperte” (quelle di Sky Sport e del sempre sul pezzo, Massimo Ugolini). Già. Perché se non si fosse ancora capito, per chi scrive, sono proprio i calciatori gli artefici principali di una stagione che definire disastrosa appare quasi un eufemismo. Sono tante, troppe, le domande che vorremmo porre ai campioni d’Italia. Per logica e curiosità.

Lucio Battisti, apriva uno dei suoi dischi più belli e sottovalutati, con un pezzo sublime dal titolo, “I Ritorni”. Quello di Osimhen, per esempio (che aveva saltato la gara col Genoa di tre giorni or sono) è il più grande dai tempi di Lazzaro, forse. Azz, avrebbe cantato il grande Federico Salvatore. “Ho detto tutto”, avrebbe sentenziato Peppino De Filippo. E allora prima di pronunciarsi in maniera trionfale su moduli, movimenti, strategie tattiche – oltre che sul solito 4-3-3, naturalmente – bisognerebbe concentrarsi maggiormente su quei meccanismi che, sin qui, non hanno funzionato a dovere. Fosse facile.

Calzona, va detto, è uomo di campo. Uno che ha conosciuto la gavetta vera. Non il primo che passa, insomma. Epperò, in una situazione così destabilizzante, nemmeno Pep Guardiola riuscirebbe a fare i miracoli in un mese. Figuriamoci in un giorno. Presentarsi con un carico così pesante sulle spalle, in vista del match da disputare con i blaugrana, equivale un po’ ad impantanarsi – con la propria autovettura – sulla griglia di partenza durante una gara di Formula Uno.

Ad ogni modo, il nostro auspicio è che gli azzurri del pallone, nella doppia sfida con il Barcelona, possano imitare i ragazzi terribili del basket. Appena qualche giorno fa, infatti, la Gevi Napoli di Sokolowski ed Ennis, regalava alla città una delle imprese sportive più belle di sempre, battendo quella super corazzata che è l’Olimpia Milano nelle Final Eight di Coppa Italia. A volte, nonostante tutto, Davide riesce a battere ancora Golia.

A volte.