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Esclusiva – Adriano Pennino tra Sanremo e Napoli

Nel corso della diretta Tv di Casa Serie A, prodotta da Casa Napoli e condotta da Max Viggiani, è intervenuto il Maestro Adriano Pennino, musicista e compositore:

Pennino ha rilasciato alcune dichiarazioni sull’edizione di Sanremo condotta da Carlo Conti è sul momento attuale del Napoli:

Cosa ne pensi dell’edizione di Sanremo, della conduzione di Amadeus e Carlo Conti e della qualità delle canzoni in gara?

Ormai Sanremo è davvero un format pazzesco, è diventato un po’ la nostra notte degli Oscar. Bisogna riconoscere il merito a Carlo Conti e a tutti quelli che lo hanno preceduto. Per noi è la festa dell’Italia, capito? È quel momento in cui uomini e donne sfoggiano gli abiti più belli. Insomma, è una grande vetrina, una fiera dello spettacolo, ed è per questo che è un format vincente. Quest’anno ha fatto persino più ascolti di Amadeus, superandolo. Va detto, però, che ci sono stati anche rilevamenti diversi rispetto agli anni scorsi. Comunque, è stato un grande successo. Qualcuno ha definito questa edizione “il Sanremo della restaurazione” perché, in qualche modo, sono tornati i cantautori e le melodie. Io credo che la musica segua un ciclo, come una sinusoide, che sale e scende. Dopo il grande periodo della trap, dove la melodia era meno centrale, adesso c’è un ritorno alla canzone tradizionale. Per esempio, il successo di Sal Da Vinci è un segnale importante: la gente vuole poter cantare le canzoni. Ti faccio un esempio: io amo Mahmood, lo trovo un artista straordinario, un grande personaggio internazionale. Però non riesco a cantare nessuna sua canzone. È un altro stile: c’è produzione, c’è l’idea, ci sono testi pazzeschi, ma manca quella melodia che fa parte del nostro DNA. Io poi sono napoletano, e per me è fondamentale poter riprodurre una canzone, sentirla mia. Per questo mi sembra che stia tornando un’onda melodica che attraversa tutta l’Italia. Basta guardare il primo e il secondo classificato, o il ritorno di Giorgia, che è tornata a quelle melodie che abbiamo tanto amato.

Come mai, a parte Giorgia, non ci sono state donne tra i primi posti? Molti la vedevano addirittura come possibile vincitrice, e per qualcuno il suo piazzamento è stato quasi un affronto. Secondo te, il risultato potrebbe dipendere più dalla canzone che dalla sua straordinaria interpretazione?

Diciamo la verità: Giorgia è bravissima, forse persino troppo brava. Io ho lavorato con lei, ho condiviso esperienze sul palco, quindi parlo con cognizione di causa. Questa volta, la sua interpretazione è stata così perfetta che sembrava quasi voler dire: “Adesso vi faccio vedere io come si canta”. E, in effetti, ce lo ha fatto vedere. Però sai cosa? Non ho sentito il sudore, non ho visto il sangue—quella tensione emotiva che, per esempio, ho percepito in Olli quando cantava, con quella famosa “vena” alla Massimo Ranieri. Ecco, il pubblico a volte vuole proprio questo: vuole vedere la sbavatura, l’imperfezione che rende tutto più umano e viscerale. Parlando degli artisti in gara, oggi il mercato è cambiato. A 40 o 50 anni si gira pagina, e arrivano i ragazzi di 18, 20 anni. Io ho monitorato i download sulle piattaforme per tutta la settimana e, in effetti, rispecchiavano la classifica finale di Sanremo. Olly, ad esempio, era primo già dagli inizi negli streaming, e anche Corsi era in alto. La fruizione è cambiata: quando eravamo ragazzi, c’erano i dischi, ed era tutto più tangibile. Vedevi chiaramente i numeri delle vendite. Oggi il successo è il risultato di una combinazione di piattaforme: Spotify, YouTube, TikTok… È un ecosistema digitale che decreta il gradimento. Non è più solo la vendita dei dischi. Ecco, Giorgia è legata a un’idea più tradizionale della musica, quella del disco, dell’album. Invece i giovani, come Geolier o Corsi, dominano questi nuovi spazi digitali. Magari uno si chiede: “Ma chi è questo ragazzo?” Poi vai su Instagram e scopri che ha milioni di follower. Credo sia semplicemente il segno dei tempi. Non è la qualità dell’artista a essere cambiata, ma il modo in cui il pubblico sceglie e consuma la musica. Guarda, io con Giorgia ci ho suonato quando fece un duetto con Christina Aguilera in una trasmissione, parliamo del ’99 o del 2000. E ti assicuro: non sfigurava affatto, anzi… forse era Christina Aguilera a rischiare di sfigurare! Giorgia è eccezionale. Però, ecco, bisogna fare i conti con il tempo che passa e con il nuovo che avanza. E oggi il successo passa anche attraverso altri canali, altre dinamiche. Non è una questione di bravura, ma di contesto.

Da compositore, produttore musicale, direttore d’orchestra e musicista, qual è il tuo parere sullo sdoganamento dell’autotune?

Sai, eticamente parlando, quando Cher lo utilizzò per la prima volta, lo rese famoso come effetto sonoro.

Parliamo di Believe, giusto? Do you believe in life after love?

Esatto! Quella canzone ha aperto le porte all’uso creativo dell’autotune. All’epoca era usato con parsimonia, proprio per creare un effetto particolare. Io stesso l’ho utilizzato con Giorgia, ma solo per ottenere un certo colore sonoro, mai per correggere l’intonazione. Per me è una scelta stilistica, e va benissimo se usato come tale. Il problema sorge quando si porta in una gara canora per correggere l’intonazione. Ecco, questo non mi piace. Perché se ti presenti come cantante, devi cantare. Se vuoi usarlo come effetto, come fanno i trapper, perfetto. Ma in una competizione dal vivo, usarlo come “aiutino” è come dipingere con il pantografo: se fai il pittore, devi saper dipingere a mano. Forse sto ragionando un po’ da “vecchia scuola”, ma credo che l’autotune, finché resta uno strumento stilistico, sia legittimo. Se però diventa un correttivo per mascherare le imperfezioni durante un live, allora no. Non è corretto.

Parliamo di calcio! Da tifosissimo del Napoli, ti chiedo: nonostante gli infortuni, i problemi di organico e un mercato deludente dopo la partenza di Kvaratskhelia, credi che questa squadra possa arrivare lontano, magari insidiando l’Inter, pur essendo sulla carta più forte?

Sì. Guarda, la questione di Kvara mi ha lasciato un po’ di amarezza. Arrivare a metà stagione e perderlo così è stato un colpo. È vero che, rispetto al suo valore, guadagnava pochissimo, ma secondo me c’era la possibilità di trovare un accordo. Questa situazione ha destabilizzato un po’ l’ambiente. E adesso, con Neres infortunato, abbiamo un vuoto proprio in quella zona di campo. Detto questo, il Napoli ha la faccia del suo allenatore: ha la sua caparbietà, la sua grinta, la voglia di fare risultato. È un po’ come avere un buon direttore d’orchestra, che riesce a trasmettere la sua energia e la sua visione ai… stavo per dire “musicisti”, ma intendevo ai giocatori! È chiaro, però, che anche la rosa conta. Tutte le altre si sono rinforzate: il Milan, la Juve con il nuovo centravanti… mentre il Napoli, invece, si è indebolito. Non so, forse abbiamo perso qualcosa in termini di impatto. Però chissà, magari con la grinta e il carattere possiamo sopperire alle mancanze di organico. E poi, come dici tu, le stagioni si capiscono da tanti segnali. È vero che il Napoli ha rallentato, ma anche le altre non stanno correndo: l’Inter, che poteva scavalcarci, ha perso a Torino; l’Atalanta si è fatta bloccare in casa dal Cagliari. Questi sono segnali importanti, no? Mi vengono in mente stagioni passate, come il Napoli di Sarri. Era forse il Napoli più bello, più forte che abbiamo avuto, ma quando perdemmo lo scudetto dopo l’espulsione di Koulibaly a Firenze… beh, lì si capì che non era destino. Non perché il Napoli non fosse forte, ma perché c’era una Juve imbattibile, che non sbagliava mai un colpo. Ecco, quando succede quello che dici tu—quando l’Inter o l’Atalanta hanno l’occasione per superarci e non la sfruttano—sono quei segnali, quegli allineamenti astrali che fanno pensare. Come dice il maestro Riccardo Muti: “Nei particolari c’è Dio”. E a volte, proprio quei particolari—le occasioni mancate dagli altri, i dettagli che sembrano piccoli—sono tutto tranne che dettagli. E fanno la differenza in una stagione.