Hojlund e Anguissa ribaltano il Genoa: il Napoli resta in vetta
Napoli-Genoa, 2-1 al “Maradona”: gli azzurri soffrono, reagiscono e tornano in vetta. Ma questa sfida è molto più di un risultato.
Ci sono partite che non finiscono al novantesimo. Partite che si giocano tra le onde di due mari diversi ma che parlano la stessa lingua: quella del vento, del porto, della gente. Napoli e Genova si guardano da lontano, separate dal Tirreno e unite da una storia di mare, di lavoro e di cuore. Due città che sanno cosa vuol dire resistere e rinascere, ogni giorno.
Da una parte Napoli, la città che trasforma la vita in teatro, tra le mani di Pulcinella e il sorriso del Munaciello, con il sangue di San Gennaro che scorre come un canto nelle vene del popolo. La sirena Partenope che veglia sul golfo è il simbolo di una città che vive sospesa tra fede e superstizione, tra dolore e meraviglia.
Dall’altra Genova, “la Superba”, che si arrampica tra i suoi carruggi come un labirinto di storia e mare. La Lanterna accesa da secoli guida chi arriva da lontano, mentre la Croce di San Giorgio ricorda i giorni di gloria e potenza marinara. Due anime diverse, ma sorelle: il mare come destino, la fierezza come bandiera.
E in mezzo, quel gemellaggio nato nel 1982 e scolpito nei cuori di due tifoserie. Quel giorno, al San Paolo, Napoli e Genoa si unirono in un abbraccio che fece la storia: il gol di Faccenda, la salvezza del Genoa, la retrocessione del Milan. Nacque allora un legame spontaneo, sincero, durato decenni e celebrato di nuovo nel 2007, nella festa condivisa per la promozione in Serie A.
Oggi, anche se le curve non si chiamano più “gemellate”, tra i tifosi resta il rispetto di chi ha condiviso lacrime e sogni. Forse il mare separa, ma non cancella.
novanta minuti di sudore e carattere
Alle 18:00 il “Diego Armando Maradona” si accende come una camera d’emozioni. Il Napoli parte forte, spinto da un popolo che canta, ma trova davanti un Genoa tosto, fisico, che spezza il ritmo e lotta su ogni pallone.
Gli azzurri costruiscono, provano, ma al 33’ arriva la doccia gelata: Ekhator sfugge a sinistra e batte Milinkovic-Savic con un colpo preciso. Silenzio e rabbia sul volto di Conte, mentre il primo tempo scivola via con il Genoa avanti.
La ripresa comincia con lo stesso copione: Genoa aggressivo, Napoli confuso. Poi entra Kevin De Bruyne e cambia la musica. Al 58’, mischia in area e colpo di testa di Anguissa: 1-1. Il Maradona esplode, la squadra si rianima.
Il Napoli ora gioca d’istinto, come una marea che cresce e travolge. Di Lorenzo centra un palo, Hojlund segna ma è fuorigioco. Il gol è nell’aria e arriva al 75’: ancora Anguissa protagonista, Leali respinge, Hojlund è lì e la spinge dentro. 2-1. Il boato è liberatorio, quasi un urlo collettivo.
Il Genoa non molla, ma il Napoli tiene botta e gestisce fino al fischio finale. Vittoria sofferta, ma pesante: i partenopei restano in vetta con 15 punti, insieme alla Roma. Per Conte, un segnale di forza. Per il popolo, un’altra notte da ricordare.
Napoli-Genoa non è mai solo una partita. È il racconto di due città che si riconoscono negli occhi l’una dell’altra. Oggi il gemellaggio ufficiale non c’è più, ma l’abbraccio del mare resta.
Perché tra Napoli e Genova il rispetto non si è dissolto nei cori o nei comunicati: vive ancora tra chi ama il calcio come linguaggio di popolo, tra chi sa che certe amicizie, anche se logorate dal tempo, non muoiono mai davvero.
E così, al “Maradona”, tra un gol e una carezza del vento sul Vesuvio, si è giocata l’ennesima pagina di una storia che va oltre i 90 minuti.
Un pezzo d’Italia che parla la lingua del mare. E del cuore.

