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Sven Goran Eriksson: “Ancelotti era un predestinato come allenatore”

Sven Goran Eriksson, diciotto trofei vinti in panchina, l’unico tecnico nella storia del calcio ad aver fatto il double scudetto-coppa nazionale ha parlato a Il Mattino

Sven Goran Eriksson, diciotto trofei vinti in panchina, l’unico tecnico nella storia del calcio ad aver fatto il double scudetto-coppa nazionale ha parlato a Il Mattino

Eriksson, lei arrivò in Italia nel 1984 ed allenò subito Carlo Ancelotti alla Roma. Che rapporto c’era tra voi? Siete ancora in contatto? 

«Siamo rimasti in ottimi rapporti: e non potrebbe essere altrimenti. Abbiamo avuto un’interlocuzione molto proficua quando ho allenato la Costa D’Avorio e lui era al Chelsea: parlavamo di Drogba e di altri calciatori, mi fu molto utile. È impossibile parlare male di Carlo: come uomo, come allenatore, come calciatore. Un gran signore che stimo moltissimo, di una correttezza unica. Come giocatore era incredibile: già alla Roma aveva entrambe le ginocchia rotte, eppure correva lo stesso».

Si aspettava che avesse questa carriera come allenatore?

«Già all’epoca era chiaro che se avesse scelto la carriera di tecnico avrebbe avuto successo: serietà e curiosità per ogni aspetto del calcio erano le sue peculiarità».

Quella Lazio vinse lo scudetto del 2000 sulla Juve di Ancelotti. Nel 2001, tricolore alla Roma: poi scudetti per Juve, Milan ed Inter. 

«Nella storia della serie A, vincono sempre Inter, Milan e soprattutto Juve. Maradona ha fatto vincere tanto al Napoli, alla Roma ci sono riusciti Liedholm e Capello, alla Lazio ci sono riuscito io dopo tanti anni: è un episodio grandissimo quando una squadra così ci riesce. Mi dispiace dirlo, ma è semplice anche da capire: senza soldi non si vince uno Scudetto. La Juve, in tal senso, è come il Barcellona, il Real Madrid, il Bayern Monaco: club che hanno tutto per conquistare titoli». 

Facile immaginare che conservi tanti ricordi delle sfide degli anni 80 con il Napoli di Maradona.

«Ricordo che ero alla Fiorentina: giocavamo prima in Coppa Italia a Firenze e pochi giorni dopo in campionato: vincemmo in Coppa, a fine gara Diego si avvicinò e mi sorrise. Mi disse: Bravo mister, bella partita, ma domenica la musica sarà diversa. Fu tutto diverso, Maradona ci distrusse, vinse da solo. Diego era così, decideva e faceva ciò che voleva». 

C’è un suo connazionale accostato al Napoli, Ibrahimovic: non è Maradona ed ha 38 anni. Consiglierebbe ad Ibra di chiudere la carriera in azzurro? 

«Punto primo, nessuno può permettersi di dare consigli ad Ibra (ride, ndr). Zlatan è un grande personaggio e può ancora dare tanto come calciatore: lo conosco bene, se si metterà in testa di giocare ancora a certi livelli, al Milan, al Napoli, o in un’altra squadra, farà ancora la differenza».

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