Napolitudine: la tradizione del Natale nei dolci partenopei


C’è un sottile filo di romantica dolcezza che lega la tradizione pasticciera napoletana ed il Natale. Una tradizione che parla di dedizione delle monache di clausura e profumi di spezie e zucchero diffusi nell’aria del centro storico.
La tradizione del Natale a Napoli passa attraverso i suoi dolci tipici. La storia che accompagna le loro origini è diversa ma accomunata dall’amore verso il prossimo. Le suore di Napoli profumavano di fiori d’arancio, l’odore della pastiera, delle sfogliatelle, del cioccolato: un percorso olfattivo intriso di quell’alchimia che accompagna in un viaggio a metà tra il sacro ed il profano, sicuramente la loro abilità di pasticciere le ha rese le consorelle più apprezzate d’Italia. Il loro compito era preparare queste ricette apprese dalla personale tradizione per l’aristocrazia dell’epoca e ogni convento napoletano aveva una specialità che lo rendeva unico. Le consorelle provenivano da ogni angolo remoto del Regno delle due Sicilie, quindi la tradizione ci riporta una commistione di sapori fusi della tradizione siciliana e napoletana.
Dall’8 dicembre in poi si rinnova in tutta Napoli il memoriale di questa lenta e dolcissima preparazione in attesa del Natale. Gli ingredienti si fondono ma soprattutto ritornano per comporre le varie ricette: immancabili le mandorle, la zucca candita a pezzetti chiamata “cucuzzata”, glassa di zucchero, naspro di cioccolato fuso, miele, confetti di zucchero. Abbondanza chiama abbondanza, dopotutto. Un ingrediente che si trova in quasi tutti i dolci di Natale napoletani è il pisto, un mix di spezie (spesso amorevolmente preparato in casa), che comprende cannella, chiodi di garofano, pepe, noce moscata, anice stellato, semi di coriandolo. Non esiste una ricetta precisa: bisogna andare “a sentimento”.
A questo punto, prepariamoci a scoprirli ed assaporarli:
Mustacciuoli (mostaccioli): A Napoli potrebbero chiedervi “vuo’ o mustacciuol…o o’roccocò” guardandovi attentamente per scoprire cosa si cela dietro la risposta. E come si fa a scegliere? Nell’incertezza: un pezzo per uno! In passato, il mosto dell’uva veniva reimpiegato in questi lingotti di forma romboidale, successivamente ricoperti di naspro al cioccolato. Oggi sono dolci ancora molto diffusi nelle pasticcerie e soprattutto nelle case dei napoletani. La ricetta attuale prevede un biscotto a pasta dura (con variante morbide oppure con impasto più alto), arricchita con miele e pisto, glassati di cioccolato.
E allora dobbiamo poi assaggiare l’altro pezzo: il Roccocò ma attenzione ai denti!
Aveva fame re Ferdinando IV di Borbone il giorno che decisa di far visita alle suore del Convento di San Gregorio Armeno. Ma quando, espletate le pratiche religiose, venne portato a tavola rifiutò tutto di quel banchetto. Tutto tranne una pasta di mandorle di chiara parentela con quella siciliana. Chiamata Pasta Reale, spesso viene modellata a forma di fruttini.
Farina, miele, mandorle e pisto e un convento di suore Clarisse ed ecco che un biscotto diventa arte democratica. Tre sono infatti le varianti dei susamielli: susamielli nobili, con glassa di zucchero e buccia d’arancia pestata. I susamielli per zampognari fatti con scarti di cucina. E i susamielli del buon cammino, per i pellegrinaggi e per il clero, farciti con marmellata di amarene. Ci sarebbe anche una quarta variante chiamata Sapienze, devono il loro nome al Convento di Santa Maria della Sapienza, a Napoli.
Consorelle piene di dolcezza!
L’origine delle paste del Divino Amore risale alle clarisse di San Gregorio Armeno. Le monache crearono questi dolcetti per omaggiare la madre del re Carlo D’Angiò, Beatrice di Provenza. I dolci del Divino Amore sono una sorta di pasta di mandorle arricchita con canditi e ricoperta di una spennellata di marmellata di albicocche e di glassa di zucchero.
Non sono molto conosciuti ai turisti i raffiuoli, dovrebbero essere stati importati dalle monache del Convento di San Gregorio Armeno che,
Attenzione adesso la questione diventa seria… caliamo i carichi pesanti. I dolci della tradizione che trovi ovunque nelle pasticcerie ma che nessuna massaia napoletana può esimersi dal preparare in casa.
Per scoprire l’o
Immancabile sulle tavole natalizie di Napoli, la cassata napoletana, i napoletani si giustificano dicendo che la loro è una versione della cassata più
Ed infine, dulci in fundo, la regina delle feste: la Pastiera.
Inutile dire che in quanto dolce estremamente rappresentativo della città di Napoli, pur essendo un dolce tipicamente pasquale viene preparato anche a Natale. In realtà un motivo della pastiera a Natale lo possiamo rintracciare: l’Epifania è chiamata ancora tutt’oggi “Prima Pasqua”, cioè prima apparizione di Gesù al mondo (ai Magi, si intende). Diffuso probabilmente intorno al 1600, la pastiera deve le sue origine addirittura alla sirena Partenope. La storia ce la racconta un famoso caffè napoletano: il Gambrinus. La leggenda narra che la sirena Partenope sia la creatrice di questo dolce; in primavera durante il suo soggiorno nel golfo di Napoli, allietava il popolo napoletano con i sui canti, e la gente del posto per ringraziarla, inviò sette giovani fanciulle con doni provenienti dalla terra:
- ricotta: simbolo di abbondanza
- farina: simbolo di ricchezza
- uova :simbolo di fertilità
- grano nel latte: simbolo della fusione del regno animale e vegetale
- zucchero: per celebrare il dolce canto della sirena
- spezie: omaggio di tutti i popoli
- fiori di arancio: profumo della terra campana
In realtà la pastiera è stata creata dalle monache di clausura del convento di San Gregorio Armeno. Bravissime pasticciere mescolavano gli ingredienti simbolo della resurrezione e i fiori d arancio del giardino del convento. Avevano una modo di preparare la pasta tutto loro. Le suore con le natiche e fianchi più prosperosi si sedevano dimenandosi sopra l’impasto che era posto sui sedili di marmo del chiostro, sussurrando preghiere. Le preparavano e le confezionavano per i nobili e l‘alta borghesia napoletana. Quando i servitori andavano a ritirare le pastiere per conto dei propri padroni ,aprendo il portone facevano fuoriuscire un profumo che si estendeva in tutti i vicoletti e consolando i meno fortunati.
Ingredienti spesso poveri che nelle sapienti mani prima delle monache ed in seguito delle donne napoletane hanno reso anche il Natale il trionfo della dolcezza. Del calore familiare, della gioia dello stare insieme: ritrovarsi a festeggiare. E non importa quanto dura sia stata la vita fino a quel momento: l’odore dei fiori d’arancio, delle spezie, del fritto e dello zucchero saprà mondare dalla tristezza qualunque animo.
Mamma, maestra e tifosa a tempo pieno. Da 10 anni in Piemonte, continuo a seguire il Napoli in trasferta ogni volta che posso. L’amore per la maglia azzurra è una malattia struggente… le radici saldamente ancorata ala mia terra natia.
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