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La vittoria da “Scugnizzo” di Sinner agli Australian Open: resilienza, cazzimma e sangue agli occhi…

Casa Napoli - Jannik Sinner

Tennis. Australian Open. E così l’Italia si è (ri)scoperta amante del Tennis.

Persino tra i mercatini più folkloristici dei vicoli di Napoli – quelli in cui sacro, profano e musica iper-melodica si mescolano in una sorta di malefico trittico – sabato mattina, il giorno prima della finale degli Australian Open, alcune signore attempate –spinte da una certa enfasi di fondo – chiedevano l’una all’altra: “Ma quann’ joca Sinnér?”. Con buona pace degli accenti.

Lungi da me voler sottolineare il fatto che la popolarità di uno sport o di un atleta si possano misurare attraverso il pourparler dei mercati cittadini, ci mancherebbe, ma questi ultimi – nonostante tutto – rappresentano ancora (e menomale) dei radar piuttosto efficienti per tastare il polso della situazione su di un determinato argomento e verificarne l’eventuale successo.

Tradotto in soldoni: Jannik Sinner, in pratica, ha riportato sulla mappa nazionalpopolare uno sport che – se tutto andava bene – veniva calcolato (abbastanza di striscio) solo in occasione di eventi clamorosi.

Tipo un italiano in una finale “Slam”, per l’appunto. Al netto, naturalmente, di tutti coloro che ritengono Adriano Panatta (vincitore di un Roland Garros nel ‘76) un ex componente dei Beatles (e, credetemi, ce ne sono eccome!). Sinner, dicevamo. Ieri, l’altoatesino, ha vinto da scugnizzo.

Rimontando due set a quel marpione di Medvedev e sputando sangue, cazzimma e resilienza come neanche un cyborg in un film fantascientifico di metà Anni Novanta. Persino Djokovic, in semifinale, si è dovuto inchinare al cospetto del focus mentale di un ragazzo – appena ventiduenne, ricordiamolo –

che disputa i tornei del Grande Slam con la stessa freddezza con cui Brehme si presentò sul dischetto del rigore ai Mondiali di Italia ‘90 (trafiggendo il cuore di D10S, argh!).

 

Non è stata una vittoria episodica quella ottenuta dal Nostro in Coppa Davis e non lo sarà nemmeno quella ottenuta ieri agli Australian Open: Sinner è destinato a durare nel tempo. Come i Sanremo di Amadeus.

O come le vedove di Sarri a Napoli. Scherzi a parte, in Italia non si è mai visto un tennista di siffatta grandezza. Anche perchè rispetto agli Anni Settanta del già citato Panatta – oltre che di Bertolucci, Barazzutti e degli altri eori nazionali dell’epoca – il Tennis è cambiato. Diventando, de facto, un altro sport.

Forse non ce ne siamo ancora accorti, ma per la racchetta (tricolore) è cominciata l’età dell’oro. Quella vera. Altro che il “Paddle” e i racchettoni a Varcaturo: oggi i più giovani si riconoscono negli occhi affamati di gloria di un ragazzo che ha scommesso su sè stesso lanciando un dado nel futuro, autocatapultandosi in un presente fatto di meritati successi e di duro lavoro.

E chissà se le signore attempate del mercatino di cui sopra avranno esultato per il trionfo del loro “Sinnèr” o si siano un pò immalinconite per l’ennesimo pareggino del Napoli.

Sì. Perchè per gli sportivi partenopei ieri è stata una domenica un pò “bipolare”, divisa a metà fra l’entusiasmo per Jannik ed il grigiore di una gara (Lazio-Napoli) che ha accontentato solo i filosofi del “prima, non prenderle.”.

Meglio pensare a Sinner.