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L’editoriale di Ivan Zazzaroni – Napoli/Milan “Si chiama personalità”

L’editoriale di Ivan Zazzaroni – Napoli/Milan “Si chiama personalità”

L’editoriale di Ivan Zazzaroni sul match del San Paolo di ieri sera Napoli-Milan e sul momento delle due squadre in campionato:

«La personalità è quella cosa che se ce l’hai si vede e se non ce l’hai si vede di più.

L’ho trovata sui social, deve averla scritta Ibrahimovic che anche prima di Napoli-Milan, giocando con il suo personaggio, aveva promesso di risolverla da solo: «Zero stress, ci penso io», e in effetti ci ha pensato due volte.

È stata una partita di nervi, il posticipo: ritmi alti e confusi, troppe distrazioni, inevitabile che la decidesse il quasi quarantenne sempre concentrato, sempre puntuale, straordinariamente generoso.

Una generosità che ha pagato con un infortunio muscolare.  

Il Napoli ha subìto la terza sconfitta di fila in casa, tra campionato e coppa: questa volta si è accontentato del palleggio, forzando raramente la giocata.

Il miglior Insigne è rimasto a Sarajevo, Mertens e Lozano hanno peccato di discontinuità, così come Fabian.

E proprio quando il belga ha riaperto la partita Gattuso ha perso un uomo: Valeri ha estratto il secondo giallo a Bakayoko, il primo non c’era.  
I dieci gol di Ibra, che ha eguagliato Nordahl e salutato con un largo sorriso la prodezza di Hauge,

il norvegese che per età potrebbe essere suo figlio, hanno prodotto l’allungo del Milan che ha 20 punti

nella stagione degli appiattimenti e delle estensioni.  

«La casta è casta e va, sì, rispettata, ma voi perdeste il senso e la misura…».

Questa strofa de “’a livella” sembra scritta per il Sassuolo di De Zerbi, bello e impertinente – il Sassuolo, non De Zerbi – al punto da riuscire a occupare con merito il primo posto dopo 8 giornate in una delle classifiche

più compresse e divertenti degli ultimi anni. Divertente perché otto sono anche le squadre in sei punti – le più attrezzate della serie A – precedute, appunto, dall’emiliana, l’eccezione.  
Soltanto dodici mesi fa tra la prima, la Juve, e la settima, la Lazio, i punti di distanza erano 10,

cinque quelli che separavano Sarri dalla terza, l’Atalanta.

Cosa è successo, in meno di un anno, per livellare fino a questo punto i piani alti?

Di tutto: si sono moltiplicate le livelle. Determinante l’incidenza sotto ogni punto di vista del virus, e quindi la preparazione affrettata (tempi ristrettissimi tra la fine della stagione precedente e l’attuale), il mercato ridotto con campagne di rafforzamento soltanto abbozzate, le tante assenze per positività e per gli impegni delle nazionali, alcuni inutili, che hanno spesso restituito dei giocatori inutilizzabili: secondo gli accusatori di De Laurentiis, sarebbe stata proprio l’intenzione di non mandare i suoi in giro per il mondo la ragione della mancata partenza per Torino che ha peraltro tolto al Napoli un punto certo (la penalizzazione) e altri possibili (dal campo).  
Un altro aspetto sorprendente della stagione è la demolizione di alcuni luoghi comuni e di certezze che sembravano consolidate.

Mi spiego meglio: a una Nazionale tornata tra le prime quattro d’Europa attraverso il gioco bello e produttivo, nonostante il pochissimo tempo a disposizione del commissario tecnico, si è unita una Roma di nuovo in zona Champions nonostante l’assenza di un operatore tecnico, un direttore sportivo.

Quello che stiamo vedendo è infatti il risultato di una campagna estiva articolata più sulle uscite (Schick, Under, Kluivert, Kalinic, Perotti, Florenzi, Zappacosta, Kolarov, Olsen e altri) che sulle entrate (Pedro, Smalling, Kumbulla), eppure più che soddisfacente sul piano degli effetti in campo.  
Spiazzante mi era sembrato anche Conte, nelle prime settimane. Ma sta recuperando i vecchi accenti.

L’Inter continua a mostrare fragilità difensive, ma reagisce alle difficoltà giocando addosso a Lukaku, deve soltanto

ritrovare sicurezza e consapevolezza di sé. Sembra fatta per inseguire più che per fuggire,

ha però soluzioni tecniche che solo la Juve può esibire.  
Riconosco Antonio soprattutto in queste parole: «Quando io parlo di questioni che dall’esterno non si possono vedere, mi si rizzano i peli.

Mi dispiace se qualcuno va dietro alle sirene ammalianti. Noi dobbiamo alzare il terreno e scavare i solchi.

Se andiamo di tacco, fioretto o punta non va bene».

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