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Inter-Napoli come Stranger Things: Juan Jesus vittima del “Sottosopra”

Il caso Acerbi-Juan Jesus

Come diceva De Crescenzo, meglio mantenersi epicurei

Napoli. Pochi giorni or sono, “Così Parlò Bellavista”, il film capolavoro del grandissimo Luciano De Crescenzo (pace all’anima sua) ha compiuto quarant’anni. Ciò nonostante, si tratta di una di quelle opere così avanguardiste ed eterne che potrebbero essere state realizzate ieri. Già. Perché la pellicola scritta e diretta magistralmente dal geniale e compianto artista partenopeo, oltre a rappresentare una sorta di spaccato sulla Napoli che fu (e di conseguenza sull’Italia dell’epoca), gira intorno ad una trama così visionaria e futurista da risultare attuale ancora oggi, nell’anno domini 2024.

Tutto il contrario, in pratica, di quanto avvenuto domenica scorsa allo stadio Meazza di San Siro. Ciò che è intercorso tra l’azzurro Juan Jesus e l’interista Acerbi, infatti, è una di quelle pagine vergognose che di tanto in tanto macchiano i già non esaltanti capitoli di quel libro ambiguo che è il Calcio Italiano. E quel che è peggio (eufemismo) è che in molti – soprattutto tra gli esponenti più in vista dei media nazionali – hanno provato a nascondere la testa sotto la sabbia o a giustificare l’ingiustificabile, in una specie di microcosmo simile a quello del “Sottosopra” della nota Serie Tv, Stranger Things. Poco da dire.

Sì. Perché nelle ore immediatamente successive al fattaccio – di cui si è scritto e parlato abbondantemente – sono state piuttosto numerose le arringhe sopraggiunte in difesa del calciatore dell’Inter e della nazionale. Tradotto in soldoni: a momenti sembrava che dovesse essere Juan Jesus a doversi scusare con l’avversario e non viceversa. Va da sé, naturalmente, che il razzismo rappresenti una piaga a tutte le latitudini, senza inutili campanilismi o distinzioni di sorta. Per riuscire a combatterlo, però, soprattutto tra le pieghe nefaste dell’universo pallonaro del belpaese, non bastano di certo le solite, melliflue parole di circostanza; ma leggi serie ed applicabili. Un miracolo, insomma.

Ritornando, invece, ai meri aspetti di campo, quella sciorinata dai ragazzi di Calzona in quel di Milano, è stata una prestazione dannatamente convincente. Altroché. Anche se al netto di un Giacomino Raspadori un pò (tanto) fuori contesto nel ruolo di punta centrale e di un centrocampo che – Lobotka a parte – continua a fare fatica. Fisicamente, certo, ma anche e soprattutto numericamente. Traoré, va detto, ad oggi è un acquisto che non convince. Ed il rumore sordo della mancanza di un elemento chiave come Elmassottovalutatissimo, in passato, dalla piazza partenopea – continua a rimbombare nel vuoto ancestrale di un reparto che in questa stagione è stato pressoché smembrato. Non solo.

Adesso, infatti, è giunto pure il momento di fare malinconicamente i conti con i punti buttati alle ortiche in nome degli ottavi di Champions, del Barcellona e dell’utopica speranza di una partecipazione al Mondiale per club. Ecco. Chi scrive, in tempi non sospetti, aveva sottolineato l’importanza di non sprecare dei match point decisivi in gare più che abbordabili come quella (non vinta) col Torino (dove, peraltro, si è deciso di attuare un turn-over fin troppo largo), proprio per non correre il rischio di ritrovarsi un giorno a dover rimpiangere punti fondamentali nella già proibitiva rincorsa all’Europa che conta.

Epperò, indietro, purtroppo, non si può tornare. Ed allora tanto vale provare a sperare in un Napoli che si travesta da rullo compressore nelle prossime nove gare (dopo la sosta) e che riesca ad agguantare almeno la quinta posizione in classifica. Del resto, come diceva il professor Bellavista in una delle scene più epiche del film sopraccitato, “Noi no, noi siamo epicurei, noi ci accontentiamo di poco, purché questo poco ci venga dato al più presto possibile”. Meglio mantenersi epicurei, dunque.